Fare politica per il bene di una comunità.

So benissimo che al centro dell'attenzione, per chi è appassionato di politica, c' è l'Assemblea Nazionale del PD. Per dovere di correttezza e trasparenza pubblico qui le considerazioni che, tra la direzione provinciale del PD di martedì scorso e quella regionale di ieri ho espresso.

La vittoria del NO al referendum, come ci dicono le analisi successive al voto, è stata determinata in misura preponderante non da un giudizio sul merito della riforma  -“non mi piace perché...”: questa quota si è fermata al 33% - ma dalla volontà di cogliere l’occasione per dare la famosa “spallata” al Governo Renzi (67% di chi ha votato NO). Sbaglieremmo in maniera clamorosa, però, se pensassimo di liquidare questo risultato semplicemente con “Chi ha votato NO non ha capito nulla di quello che abbiamo fatto”. Molto meglio l’atteggiamento tenuto da Graziano Del Rio che, due giorni dopo al referendum, in televisione disse: “Avevamo un progetto, abbiamo agito coerentemente con quello, per dare risposte al Paese, evidentemente abbiamo sbagliato delle cose che dobbiamo correggere”. Questo è il modo giusto di affrontare questo passaggio. 

La vittoria del No può essere letta come l’ effetto di grandissime attese suscitate e, se non tradite, almeno non percepite come adeguatamente realizzate.

Matteo Renzi ha rappresentato per modi e per anagrafe la speranza, l’innovazione: nel momento in cui, per colpe non solo politiche ma anche della parte “ministeriale”, non si riesce a dare concreta risposta a questa speranza di cambiamento il castello crolla rapidamente. Anzi, oggi è destinato a crollare immediatamente. 

Al netto di tutto ciò, sostenere che questo è stato il peggior governo e, nel caso della riforma, la peggior riforma che potevamo avere non mi convince. Ho sostenuto il SI’ al referendum perché, per quanto mi riguarda, ho individuato punti che mi convincevano e mi convincono tutt’ora, e non semplicemente perché “non c’è altro e quindi bisogna accontentarsi”. Però sicuramente non mi sono piaciuti certi slogan semplicistici che hanno accompagnato la campagna del SI’ e, soprattutto, da forza responsabile quale abbiamo sempre voluto essere (responsabile e rispettosa anche nei confronti della politica), abbiamo troppo calcato la mano sul tema “riduciamo i politici, tagliamo i costi della politica”: scimmiottando il grillismo non siamo riusciti a coinvolgere chi doveva darci fiducia. Soprattutto perché questa è stata un’occasione importante (dove si è voluto coglierla) per tornare a parlare di politica con la “P” maiuscola. 

Poi andrebbe fatta un’altra considerazione, sulla quale, probabilmente, durante il Congresso dovremo parlare: secondo me il nostro Partito ha subito un po’ troppo la “sindrome da piccolo Comune”: il PD, la proposta politica del PD, anche per ovvii motivi di doppia copertura di ruoli, si è appiattita su quella dell’azione di Governo, che andava sostenuta ma andava accompagnata anche da una riflessione sulla direzione strategica verso cui muoversi. Teniamo anche presenti le condizioni in cui è nato il Governo Renzi, la consapevolezza della necessità di dover agire velocemente, senza troppi “voli filosofici”. Ma non dobbiamo mai dimenticare che compito di un Partito è quello di dare un senso di prospettiva a quello che si mette in campo con l’azione di Governo. 

E per costruire questo pensiero, questa prospettiva, bisogna partire da una adeguata analisi della realtà. Per fare questo, l’analisi dei dati è essenziale, e bisogna abbandonare la tendenza a sedersi sugli allori: noi per quasi due anni abbiamo ripetuto il mantra della “vittoria del 40% alle elezioni europee”: ricordiamoci che i flussi elettorali, soprattutto in una situazione di forte crisi economica, sono molto volatili e bisogna essere sul pezzo e attenti ai mutamenti ogni giorno. 

E io penso, proprio guardando ai dati, che la geografia del voto sia andata oltre le spaccature o le lotte interne al PD. E voglio puntare l’attenzione sull’incrocio di dati economico-sociali e geografici.
Cito dati divulgati proprio in questi giorni: oggi in Italia, 4,6 milioni di persone vivono nell'indigenza assoluta, quasi l'8% della popolazione residente in Italia. Persone che non possono permettersi spese essenziali come quelle per gli alimenti, la casa, i vestiti, i mezzi per spostarsi né le medicine. Persone che non possono che essere arrabbiate. Queste persone erano meno di 2 milioni nel 2005 (il 3,3% del totale). E’ evidente che, se questo non è colpa del Governo Renzi, chi è al Governo in questo momento si è trovato a dover subire la rabbia di queste persone. E forse non si è stati bravi a fare capire questo alle persone. 

Accanto, poi, a tendenze consolidate a livello europeo, si registrano alcune particolarità tutte italiane, tipo: il più alto tasso di giovani che non studiano e non lavorano (Neet) e una delle più basse percentuali di donne che continuano a lavorare dopo la maternità. Una combinazione che ha impoverito in particolare le famiglie giovani e numerose. Senza risparmiare, purtroppo, i più piccoli: sono quasi raddoppiati i bambini sotto i 6 anni che vivono in una condizione di grave privazione materiale.
La quota di famiglie in povertà assoluta è quasi raddoppiata. Erano 819mila nel 2005, mentre oggi sono quasi 1,6 milioni, con un balzo dal 3,6 al 6,10%. 
Altro fronte: la cosiddetta “Forbice generazionale”: Fino al 2011 non c'erano grandi differenze tra le varie fasce d'età, e i più poveri erano gli over 65 (circa 4,5% si trovava in povertà assoluta). La crisi, distruggendo posti di lavoro e riducendo le opportunità di impiego, ha capovolto questa situazione. In un decennio il tasso di povertà è diminuito tra gli anziani (4,1%) - molti di loro possono contare su un reddito fisso - mentre è cresciuto nelle fasce più giovani: di oltre 3 volte tra i giovani adulti (18-34 anni) e di quasi 3 volte nella fascia tra i 35 e i 64 anni. 

Forse non è un caso se il “SI’” ha prevalso nella fascia di età dai 65 anni in su con il 56%, mentre nella fascia di età compresa tra i 35 e i 54 anni, invece, il “SI’” si è fermato al 33%. E’ quella fascia di età in cui si osservano i picchi di incertezza per il futuro (62%), ma anche la convinzione generalizzata della necessità di "emigrare" all'estero, per fare carriera (73%).
Dopo oltre 8 anni di crisi economica, la povertà non può più essere considerata un fatto straordinario che riguarda pochi sfortunati. Ha numeri da fenomeno di massa, e il nostro welfare - concepito in un altro momento storico - sembra poco efficace per contrastarla.
Penso al fatto che pochi giorni fa in Assemblea Legislativa abbiamo approvato il RES, il reddito di solidarietà, che vuole togliere concretamente terreno alla povertà senza cadere nell’assistenzialismo, creando percorsi di reinserimento per le persone e, grazie ad una maggiore elasticità, andando a colmare le carenze del provvedimento nazionale denominato SIA, Sostegno per l’inclusione attiva (che, appunto, partito con ottimi propositi qualche limite nell’applicazione pratica l’ha mostrato) . 
Se guardiamo alla “geografia”, le radici territoriali del rifiuto affondano anzitutto e soprattutto nel Mezzogiorno. Nel Sud il NO ha, infatti, superato il 70%, nelle Isole. Se guardiamo ai dati economici capiamo che il NO al referendum, forse, è legato proprio a questo tema, al malessere sociale che pervade quelle aree, sul piano economico e occupazionale. 
In base a dati Istat il Pil pro capite al Mezzogiorno è di 17.800 euro: è più basso del 44,2% rispetto a quello del Centro-Nord. Nel 2015, al primo posto della graduatoria regionale per livello di reddito disponibile si posiziona la Provincia Autonoma di Bolzano, con circa 23,7 mila euro, all'ultimo la Calabria, con 12,2 mila euro. Stranamente il SI’ al referendum ha prevalso in provincia di Bolzano (dove si è affermato con il 63,69%) e in buona parte (non tutta) dell’Emilia-Romagna . Del resto la disoccupazione in Emilia-Romagna: nei primi nove mesi del 2016 è pari al 7,1%, -0,4% rispetto al 7,5% registrato a luglio. Nel terzo trimestre dell’anno gli occupati hanno visto un aumento del +2,5% che riporta la situazione al di sopra del livello di occupazione pre-crisi (3^ trimestre 2008). Il tasso di occupazione trimestrale è al 68,9%, 1,8 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2015: si tratta del valore più elevato tra tutte le regioni italiane ad esclusione del Trentino-Alto Adige (71%).
Questo non vuole essere un ”grido trionfalistico”, anzi, c’è molto da fare, ma forse ci spiega perché il SI’ abbia vinto proprio in Emilia-Romagna e in provincia di Bolzano. 

Eppure, mentre guardo con preoccupazione a questi dati, voglio provare a vedere anche gli aspetti positivi di quello che è successo il 4 dicembre: il 65 % degli elettori a livello nazionale e tornato a votare (nella nostra Regione e penso alla mia provincia, Ravenna, molti di più, in media oltre il 70%). C’ è stato un altro effetto positivo: per due settimane si è smesso di parlare solo di calcio. E’ una battuta ma, per quanto mi riguarda, è uno dei punti in agenda per il futuro per il nostro Partito: lavorare e investire sul livello culturale medio del nostro Paese, non solo per creare un’alea di aristocrazia ma perché un miglioramento del livello culturale ha inevitabilmente effetti positivi anche sull’economia, sulla creatività, sulla capacità di competere e, contemporaneamente, di pensare ad uno sviluppo di qualità. E da anche più opportunità alle persone per crescere ed emanciparsi e difendere concretamente la propria libertà.
E un ultimo aspetto positivo, forse il più importante: tanti giovani sono andati a votare. Magari hanno votato contro, ma hanno votato. Dobbiamo aggrapparci a questo filo, prenderlo, curarlo e tesserlo. E dialogare con loro, per capire veramente quello che vivono, provano, soffrono i giovani nel nostro Paese e cercare di dare loro risposte concrete, non elemosina per fare spettacolo pensando che sia risolutiva. 

Se quello che ho detto finora ha a che fare con tutto ciò riguarda l’analisi del fronte “geografico-sociale”, proviamo ad analizzare i comportamenti elettorali in base al Partito di riferimento (non parliamo più di “appartenenza”). 

L’elettorato del PD ha partecipato quasi interamente al voto (pochissimi – a parte il caso di Reggio Calabria – sono gli elettori del Pd che si sono astenuti; e forse, pensando ai dati citati in precedenza per il Sud e proprio per la Calabria, alcune cose tornano).

Nelle città del Nord e del Centro il peso della diaspora verso il No varia da un minimo di un quinto (20,3% a Firenze) a un massimo di un terzo (33% a Torino). Al Sud questo peso è in alcuni casi anche maggiore: a Napoli e a Palermo più del 40% degli elettori Pd ha respinto la riforma. 
Qui, quasi certamente, hanno pesato non solo le fratture tra minoranza e maggioranza del PD ma anche l’incrocio con i dati economici e sociali a livello territoriale. 
Sulla piena sovrapponibilità tra il voto al referendum e un possibile voto alle prossime politiche penso serva cautela e analisi: se si guarda al comportamento elettorale in occasione del referendum della principale forza del centrodestra (ossia gli elettori che nel 2013 votarono per il Pdl ) la riforma è riuscita a fare breccia nell’elettorato berlusconiano. 
È una breccia in genere piccola (a Parma, Napoli e Palermo i Pdl pro-riforma sono meno del 20%) ma comunque significativa. E che, in alcune città, arriva anche a proporzioni consistenti: a Brescia i berlusconiani favorevoli alla riforma sono il 36,8% e a Bologna superano il 41%, a Firenze arriva al 44%. Sono dati dell’Istituto Cattaneo. Pensare, però, che automaticamente questi voti alle prossime politiche passino al PD mi sembra quanto meno azzardato. 

Bene, oggi siamo al Governo Gentiloni: in questo momento sarebbe stato scellerato andare immediatamente alle elezioni. Però, attenzione, non confondiamo il senso di responsabilità e la necessità di un’azione immediata su alcuni fronti con il tentativo surrettizio di arrivare in fondo alla legislatura.

Sul senso di responsabilità e l’urgenza di fare alcune cose, ovviamente per prima c’è la “cornice elettorale” da costruire, ma pensiamo a tante altre cose, il terremoto ad esempio, ma penso anche a tante altre partite che, per esempio, come Regione abbiamo a mezzo sui nostri territori e che dipendono da accordi stretti con il Governo. 
Tra l’altro – apro e chiudo parentesi – per la nostra Regione, penso anche alla Provincia da cui provengo, Ravenna, alcune partite che dipendono da trasferimenti del Governo languono da anni: approfittiamo di questa boccata di ossigeno rappresentata da questo nuovo Governo per concludere queste partite prima che sia troppo tardi anche per avere perduto la credibilità nei confronti dei nostri cittadini ed elettori. 

 

Approfitto per fare una considerazione che riguarda la nostra Regione: continuo a vedere (e a sottolineare e a segnalare continuamente) questo dato, tra una parte politica molto motivata, con prospettiva di azione chiara e una parte burocratico-tecnica in alcuni settori profondamente lenta ma, soprattutto, autoreferenziale, lontana dalla realtà e dal senso di appartenenza ad un progetto che vuole mettere al centro rispetto della legalità e, contestualmente, semplificazione e riduzione di tempi e procedure. Mi preoccupa perché penso, come ci ricorda sempre il Presidente, con preoccupazione al risultato risicato in termini di affluenza al voto delle nostre elezioni regionali se confrontato con quello di partecipazione al referendum. E se quel 70 e oltre% il 24 novembre 2015 avesse partecipato al voto cosa sarebbe successo? Uno sprone in più a lavorare bene.

Tornando al tema principale, appunto, di non tentare un Governo che arrivi a fine legislatura, dico Attenzione: abbiamo già compiuto questo errore nella legislatura 1996-2001, prima il governo Prodi, poi con il 1° governo D’Alema; poi con il 2° D’Alema, poi con il Governo Amato. Una legislatura tirata fino alla fine dei suoi giorni ma che, a causa della eccessiva eterogeneità e rissosità della coalizione, mostrò tutti i limiti di quella compagine e, soprattutto, diede l’idea che si facesse tutto il possibile per non andare a votare. E conosciamo il risultato, sappiamo che fu una sconfitta non molto onorevole e fu l’occasione per consegnare l’Italia per 5 anni a Berlusconi. Oggi non siamo una coalizione ma dentro un unico partito siamo in rissa continua ed evidente.
Per questo, tornando all’inizio, dico: bene un Governo; bene anche un Governo presieduto da Gentiloni, ma diamo una scadenza a 6 mesi; meno bene un Governo che non ha dato segnali utili e necessari di cambiamento di alcune pedine (Lorenzin, per dirne uno, ma anche altri). 

Faccio alcune considerazioni sulla Provincia da cui provengo, Ravenna, e sull’esperienza che ho fatto partecipando a numerose iniziative nei circoli a sostegno del SI’. 
Nella nostra provincia, nella stragrande maggioranza dei casi, c’è stato un posizionamento netto dei circoli sul SI’ ma non solamente dei circoli. Partecipazione al voto del corpo elettorale mediamente sopra al 70% e risultati molto positivi per il SI’ (anche qui mediamente sopra al 54% con punte fino al 60% come nel Comune di Casola Valsenio Penso che in provincia di Ravenna, la maggior parte dei nostri iscritti abbia dato un segnale verso la costruzione, la vera costruzione del PD, non di un insieme di correnti. Nei circoli gli iscritti hanno cercato di capire, hanno cercato di approfondire e di confrontarsi: dove il confronto è stato fatto senza semplicemente ripetere slogan e parole d’ordine, c’è stata la voglia di impegnarsi e di fare politica veramente. 
Qui da noi, c’è stato un salto culturale: ho avuto la sensazione netta che dentro al PD che si sia sposata la causa del “Siamo il PD” e, non per omaggio al leader: lo si è voluto fare perché, pur con la consapevolezza di alcuni limiti, si vedeva in quella riforma un ‘occasione per dire “facciamo qualcosa di nostro, proviamo a fare un passo per costruire un nostro cammino”. 
La voglia di un popolo si stare unito e di guardare avanti. E’ una cosa che mi rende ottimista e mi fa ben sperare. Come ha detto qualcuno commentando la sfida “vogliamo vedere chi ci manda via dal partito”: la realtà è che per fare in modo che un partito stia in piedi e abbia senso deve esserci una onorevole via di mezzo tra la rigida disciplina di partito e l’anarchia totale. Se, come ci siamo detti più volte, al di là dei personalismi, vogliamo bene e ci teniamo veramente al Partito non nel senso di “apparato impalpabile” ma nel senso di questa comunità di persone che stanno in prima linea nei territori ogni giorno. 
A questo proposito voglio attirare l’attenzione sul documento su come rinnovare il Pd firmato dal Vice-Segretario Lorenzo Guerini e dal Presidente Matteo Orfini, a seguito del lavoro di una apposita Commissione: si fanno molte proposte importanti in quel documento, come quella di ridurre il numero dei componenti della Direzione Nazionale e dell’Assemblea Nazionale semplicemente per fare in modo che svolga in maniera concreta ed efficace il suo ruolo assegnato loro. Si avanzano proposte per rinnovare altre "regole del gioco" del Pd: 
- le primarie - strumento da preservare e valorizzare facendo in modo che non si trasformino, come troppo spesso è successo, in uno scontro fra persone e le loro filiere, al di fuori di ogni condivisa visione strategica del territorio. 
- E poi il ruolo dei circoli. Come usare al meglio l'impegno di molti, iscritti e non iscritti, la loro conoscenza dei territori, la loro capacità di dialogare con i vari settori della cittadinanza attiva.
- Nel Documento ufficiale Guerini-Orfini. si propone un investimento affinché i circoli divengano strumento per "sperimentare nuove forme organizzative che interagiscano con l'arcipelago delle militanze" e per "creare nuova classe dirigente". In questo documento si ragiona finalmente non tanto di “partito dei gazebo” o dei circoli, ma si ragiona definitivamente di come valorizzare le persone e il nostro patrimonio di radicamento: finalmente si è capito che non si può fare a meno di un Partito che non sia solo “macchina di voti” da riesumare solo in vista di scadenze elettorali. 
Nel corso della Direzione provinciale che si è svolta martedì 13 dicembre a Ravenna sono emerse, ovviamente, forti preoccupazioni e un appello forte all’unità del Partito, un appello innanzitutto a fare una riflessione sul cosa vuol dire stare in un Partito e al come starci. Da più parti è venuta una richiesta di non andare ad un Congresso in questo momento: un’occasione certa più di regolamento di conti che di riflessione e costruzione di un percorso politico . Semplificando, visti i tempi e l’opportunità di andare al voto in pochi mesi, la soluzione potrebbe essere quella (concedetemi la “licenza poetica” ma in questi momenti c’è da fare un esercizio difficile per trovare soluzioni adeguate ad una situazione eccezionale e tesa) di fare delle “primarie di concetto”, cioè primarie nelle quali non si assista solo ad uno scontro tra “galletti” ma a un confronto anche su proposte politiche su alcuni temi, pochi e chiari. 
Mario Calabresi su Repubblica pochi giorni fa ha scritto: “non si può pensare ad una resa dei conti fatta sulla pelle dei cittadini”. Ma se così fosse – completo io - la resa dei conti sarebbe fatta, ancora prima, sulla pelle dei nostri iscritti e di tutti coloro che tengono in piedi con fatica ogni giorno i circoli del PD. 
Se dovessi indicare alcuni temi, penso di non dover spendere altre parole su ciò che riguarda la povertà, l’inclusione ma nel senso di “ridare concretamente e non solo a parole dignità, oggi, alle persone e visione di opportunità per il futuro”, per tutte le fasce di età., ma in particolare per i giovani. Pensiamo a Bologna nella top ten per vivibilità ma con forti lacune (nonostante un importante finanziamento arrivato dal Governo) a dare risposte al tema dell’emergenza abitativa: si parla di 13-14mila famiglie che ormai non partecipano alle graduatorie ERP perché hanno perso la speranza di poter ottenere risposta e quindi cercano altre strade. Il tema della povertà e della disgregazione del tessuto sociale è un tema non solo del SUD, che va affrontato anche da noi e che va tenuto strettamente insieme con quello dello sviluppo economico e del modello di sviluppo che si vuole, cioè non semplicemente “sviluppo” ma anche qui una prospettiva politica di quale sviluppo vogliamo. Tutto questo, guardate, e lo dico con presunzione, va fatto non rinnegando o buttando a mare quanto si è fatto sul fronte delle imprese, ma, anzi, portando a valore a livello nazionale le esperienze concrete e vincenti della nostra Regione in termini di attrattività degli investimenti. Tra l’altro, a proposito di imprenditorialità e capacità di attrarla, ricordiamo un altro dato relativo al referendum: il 67% dei lavoratori autonomi che hanno partecipato al voto ci ha girato le spalle. Forse, anche qui, ci si aspettava di più in termini di politiche nazionali per lavoro autonomo, imprese e semplificazione.

o Il tema della Sicurezza: Il Sole 24 Ore martedì ha pubblicato la classifica delle Province in base alla vivibilità e il triste primato di Ravenna per il numero di furti in appartamento – 752,95 ogni 100mila abitanti – per quanto segnato da una diminuzione rispetto ad anno scorso del numero assoluto. Ma pensiamo anche ai dati elettorali di Bologna: il 40% di chi ha votato NO ha un reddito superiore ai 25 mila euro e oltre il 51% di chi ha votato NO abita in territori in cui la presenza di immigrati arriva al 14%. Questi dati, a mio avviso, ci indicano già un fronte su cui misurarci come proposta politica innovativa e su cui costruire un profilo proprio per il territorio, senza correre dietro alla Lega ma anche senza lasciare il tema in mano loro. Il tema del controllo di vicinato, per esempio, tema discusso e discutibile ma senza dubbio non ignorabile. Qui abbiamo una grande occasione: non rincorrere la Lega ma fare una proposta nostra, alternativa, in cui andiamo a scovare e a raccontare le tante esperienze silenziose costruite nei territori grazie alla collaborazione con il mondo del volontariato, storie fatte di inclusione e di aiuto reciproco. E’ questo quello che dobbiamo portare a valore e come proposta, giocando sulla nostra ricchezza di legami sociali e di esperienze amministrative positive. E lo dico pensando anche a quel dato in base al quale nella nostra Regione in alcune zone (penso proprio a Ravenna ma non solo) sul voto al referendum la Lega Nord si è spaccata esattamente a metà: ciò significa che c’è la possibilità di conquistare terreno con proposte concrete ed efficaci e serie. 
Un ultima considerazione sul tema della comunicazione: sbaglieremmo se pensassimo che la soluzione sia solamente diventare bravi a gestire i social network e la comunicazione più avanzata: c’è bisogno anche di questo, ma questa non è la soluzione.

Oggi le persone hanno bisogno di persone: è qui la differenza. Bisogna stare radicati sul territorio, vicini alla gente e e parlare con loro senza la presunzione di spiegargli come va il mondo. Dobbiamo imparare a discutere. Non dico “tornare a discutere” perché, anche prima di Renzi, non lo sapevamo fare.

Attrezziamoci a fare politica veramente, prendendoci cura della nostra comunità di partito come “esercizio” per sapere prenderci cura delle persone e di una comunità più grande come quella italiana.